Nick Cave mi sembra che sia in piedi alla fine del mondo a spingere il cielo lontano. Ma la fine del mondo non è in alcun modo cupo o in una decrepita grotta. Un belvedere dal quale il pensoso artista può guardare il mondo e meditare e cantare le sue canzoni. La cosa stupefacente è la quindicesima fatica in studio, che si colloca tra il presente e il passato, creando miti con contemporane storie e suoni, pur mantenendo un senso di favola e l'assenza di tempo, penetrando con grazia e sentimentalismo, liberando la registrazione di ogni angoscia e inquietudine dell'inizio. Voce virile, lirismo al male, suoni luccicanti con fili di acquisita saggezza. Non c'è spazio per sentimenti sull'album, ma di uno spazio di riflessione e temperata tranquillità, perfettamente inseriti nella malinconia traslucida. Non c'è potere in grotta, egli osserva i suoi personaggi respirare e anche che salutano come egli, che guarda dalla cima il suo mucchio. Canta di essi e i loro spiriti, se hanno vissuto a lungo, come se noi non siamo noi, che intravediamo i momenti della loro vita e del mondo interiore, e come se c'è qualcosa da imparare da loro. Anche lui è ossessionato dalla sua creazione: essi sussistono nella sua mente a lungo, dopo che egli ha predisposto la malinconia, e si infiltra attraverso l'incontaminato rifugio di spingere il cielo lontano. Sirene di malinconia, come gli amanti che si trasformano in sogno. E' tutto molto pittoresco e l'album appare assolutamente magnifico. NICK CAVE
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